26/6/09

Il crocevia delle donne: socialismo o barbarie

Trascrivo qui la relazione presentata nel Iº Convegno Latinoamericano "Pensamiento y Praxis Feminista" che si sta svolgendo in questi giorni a Buenos Aires ed al quale sono stata invitata gentilmente da Yuderkys Espinosa, per partecipare al tavolo Pensar la práctica I, insieme a Julieta Paredes-Bolivia, Norma Mogrovejo- Méssico e María Lygia Quartim de Moraes-Brasile


Femminismo e crisi mondiale. Il crocevia delle donne: socialismo o barbarie traduzione a cura di Mujeres Libres Blog


Il femminismo e la crisi mondiale – il crocevia delle donne: socialismo o barbarie In mezzo ad una campagna elettorale nella quale si sente parlare di quello che si è fatto e di quello che si deve ancora fare ed in cui né il governo, né l’opposizione clericale e conservatrice, considera i diritti delle donne come cosa da fare, né come cosa che manca e ancor meno come cosa necessaria, mi pongo una domanda: che cosa potremmo dire alle donne della storia del passato, che hanno lottato per i nostri diritti, di ciò che è stato fatto e di ciò che ancora si deve fare? Mi rispondo che le donne invadono le scuole e le università. Come un torrente impetuoso abbiamo invaso gli oscuri chiostri che c’erano stati proibiti per secoli, inondandoli con le nostre voci stufe del silenzio. Noi, le "irrazionali", ora possiamo essere filosofe e matematica, storiografe, dottoresse, archeologhe, ingegneri, psicologhe, biochimiche, scrittrici, architetti ed artiste. Oggi noi, siamo tra la maggioranza di chi raggiunge alti livelli di educazione. Ma, mi dico anche che le donne e le bambine sono il 70% degli analfabeti del pianeta. Oggi, come mai prima nella storia, le donne entrano nel mondo del lavoro: negli ultimi dieci anni si è moltiplicata la nostra presenza nel mercato del lavoro, in maniera inusuale e la tendenza non cessa. Siamo maestre, infermiere, tessitrici e cuoche, come lo siamo state sempre. Continuiamo a seminare il seme e raccogliere il frutto, puliamo le nostre case e quelle degli altri. Ma, maneggiamo anche il soffietto ed il tornio, camion e razzi, perforiamo il suolo alla ricerca di petrolio e ci immergiamo in fondo agli oceani raccogliendo coralli. Nello stesso modo, ora, saltiamo lo steccato che si frappone tra il "mondo riproduttivo", della casa e l’esterno mondo del lavoro salariato ma, la metà delle persone che vivono del loro salario, lavora in condizioni precarie. Mille ottocento milioni di persone; la maggioranza, donne. Tutto ci suggerisce che andrà di male in peggio, sotto la frusta dalla crisi economica mondiale che sta avvenendo. Nella prossima decade due terzi della classe lavoratrice non avrà contratto, né benefici sociali e la maggior parte che sarà in quelle condizioni, saranno sicuramente le donne. Ma Mary Wollstonecraft o Flora Tristán, avranno immaginato qualche volta, che saremmo riuscite a rendere che la riproduzione sessuale non fosse una fatalità? Oggi, in decine di paesi esistono diritti sessuali e riproduttivi, si rispetta legalmente la diversità sessuale e si è depenalizzato l’aborto. Si potrebbe dire che siamo, anche qui, cresciute enormemente, a patto di non citare l’eccezione del mezzo milione delle nostre sorelle che muore, ogni anno, per complicazioni di gravidanza o di parto, cosa che con lo sviluppo scientifico e medico attuale, dovrebbe essere perfettamente evitabile. Un semplice calcolo, tragicamente ci dice che, quindi, ogni cinque anni muore la stessa quantità di donne delle morti avvenute nei cinque anni di sterminio nazista ad Auschwitz. Ogni cinque anni, si ripete un campo di concentramento come Auschwitz, per le donne più povere del pianeta. Ma, possiamo negare che è la prima volta nella storia che le donne raggiungono numeri senza precedenti, ai vertici della istituzioni statali? Ci sono donne presidentesse e parlamentari, donne con portafogli ministeriali e a capo delle forze armate, ci sono anche donne nei tribunali e nei sindacati… manca solo il Vaticano! Per il resto, abbiamo conquistato tutte le poltrone del potere. Ma va detto che, con il disimpegno o con l’approvazione, con il sostegno e la legittimazione, con la partecipazione o direttamente sotto gli ordini di alcune di queste donne, nel mondo vivono più di mezzo miliardo di persone in condizioni di povertà, con meno di due dollari al giorno. Ed il 70% sono donne e bambine. Il capitalismo racchiude queste contraddizioni. E le donne, davanti alla frusta del capitalismo, si ribellano contro il loro destino, diventando protagoniste di un movimento chiamato femminismo. Però, lo stesso sistema, per arginare il problema all’ordine stabilito, opera cooptando, integrando, istituzionalizzando e, simultaneamente, segregando e spingendo all’autoemarginazione. Così, come si fa a rispondere a questa realtà, guardando solo una parte, quando entrambe sono strettamente collegate? La visione integrata del femminismo che suppone che la democrazia capitalista è il sistema nel quale si può gradualmente raggiungere l’equità di genere, attraverso le riforme, ha realizzato molti dei diritti dei quali oggi godiamo. Ma, ha portato anche l’istituzionalizzazione del movimento femminista, generando una "tecnocrazia" di genere e una frammentazione che ha trasformato le voci delle donne in domande parcellizzate di assistenzialismo. La visione apocalittica che suppone che basta dare la schiena al potere esistente per auto-potenziarsi, creando i nostri propri valori e la nostra propria cultura contro il patriarcato, ha criticato l’instituzionalizzazione e la cooptazione che il sistema capitalista aveva imposto al movimento. Ma, ha anche depoliticizzato la lotta, ripiegandola esclusivamente nel terreno della cultura e limitando il femminismo, in ultima istanza, a piccoli circoli di "iniziative." Il sistema ci vuole rinchiuse in questa falsa dicotomia… o lottiamo per strappare diritti di uguaglianza a questo Stato capitalista e, allora, finiamo appoggiando ed incorporandoci a governi e regími che si fondano, legittimano e riproducono l’ordine esistente, oppure diamo la schiena alle lotte dove si gioca la relazione di forza con le classi che esercitano la loro dominazione attraverso lo Stato, sostenendo che l’unica via di emancipazione è l’auto-emancipazione che si ottiene quando si capisce la vera coscienza. Una falsa dicotomia che proviene da due modi parcellizzati di vedere lo sviluppo diseguale e combinato del capitalismo a cui abbiamo fatto riferimento.. Questo anno probabilmente, con le marcate tendenze alla depressione dell’economia mondiale, nel pianeta ci saranno venti nuovi milioni di disoccupati e disoccupate e duecento milioni di persone passeranno a vivere in estrema povertà. Mentre l’ "auto-riscatto", che il capitalismo paga per salvarsi, in tutto il mondo supera già i cinque miliardi di dollari. Ma l’impatto della crisi non sarà uguale per tutti e questo bene lo sanno le donne. Il capitalismo ci riserva la più brutale delle barbarie. Allora…. Che cosa faremo di fronte alla crisi che ci minaccia? Che rotte adotterà il femminismo davanti alla soluzione delle guerre, alla massiccia disoccupazione, alla distruzione del pianeta e al’avanzamento della miseria, che il capitalismo come un conto presenterà per sopravvivere a sé stesso? Sarà possibile, come disse la femminista costaricana Alda Facio alcuni anni fa, "salire sul treno del futuro socialista, insieme alla propria valigia?" Dove sta scritto che la lotta delle donne deve essere ridotta, come disse un filosofo postmoderno, a "ridurre al minimo la crudeltà? Stiamo andando ad aumentare la prospettiva di una nuova società senza sfruttamento ed oppressione di qualsiasi tipo o stiamo scegliendo la strada di modificare questa società in cui viviamo, al massimo per alleviare alcuni dei suoi più brutali abusi? La diminuzione dei più brutali abusi può cadere come una briciola per le donne, al piede del tavolo di questa democrazia capitalista… e quelle briciole cadono e cadranno sempre con minore frequenza mentre cresce la grande crisi. O saranno conquiste per poche. Oppure conquiste che dureranno un pò, prima di essere trascinate in un nuovo attacco della classe dominante. Per questo motivo ci rivendichiamo marxiste rivoluzionarie, lottiamo per conquistare le migliori condizioni possibili di esistenza in questo mondo che ci condanna alle peggiori iniquità, lo facciamo senza perdere di vista la prospettiva di un mondo liberato da ogni dominazione, sfruttamento, oppressione ed ignominia. Esigiamo i nostri diritti, ma non li mendichiamo. Ed ogni volta che li otteniamo, li consideriamo una conquista della nostra lotta e non un dono del potere. Tanto meno celebriamo la "diversità" in sé stessa perché, come dice la femminista lesbica Valeria Flores che sarà qui domani a quest’ora in questo convegno, è propria di una concezione liberale, concepire gli individui ed i desideri come un menù di opzioni offerte dal mercato. Pertanto riteniamo che solo la prospettiva di attaccare il cuore del capitalismo è l’affermazione secondo cui, anche i più fondamentali diritti democratici hanno un potenziale sovversivo.. Pertanto ci sforziamo di strappare a questo sistema tutti i diritti che le donne si sono viste private nel corso della storia, ma lo facciamo dal punto di vista e con la strategia del socialismo. Citiamo le parole di una socialista dell’inizio del XX secolo, chi è socialista e non è femminista, non ha ampiezza, ma chi è femminista e non è socialista, non ha strategia. E personalmente aggiungo… dobbiamo recuperare adesso quella strategia, quando il sistema capitalista, in questa nuovo attacco contro la maggioranza sfruttata ed oppressa del pianeta (maggioranza femminizzata, come dicono in ambito universitario), non lascia spazio per l’illusione di integrazione e riduce di molto il cerchio di chi vuol vivere creativamente ai margini di una società che sta sprofondando sempre di più nella barbarie. Socialismo o barbarie, disse Rosa Luxemburg. Ed oggi quella premessa acquisisce una validità inusuale… specialmente per chi non solo chiede, ma esige il diritto al pane, ma anche alle rose. Molte grazie.


Andrea D’Atri


Museo Roca, Buenos Aires, 25 de junio de 2009

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